Il fiore per definizione è l’organo riproduttivo della pianta, dunque sinonimo di vita.
Ci sono però “fiori negati” perché nascosti, ma infine “svelati”. Rinascono “nuovamente”, manifestando quell’insito istinto di sopravvivenza.
E’ il caso delle opere di Micaela Legnaioli presentate alla sua prima personale.
Fiori che manifestano quella grande volontà di esistere, di vita, di rinascita dopo la morte: ritrovati, recuperati e trasformati, si nascondevano insieme ai ricordi, le emozioni, la coscienza. E come delle piccole spugne, hanno assorbito e purificato dall’interno per venir fuori con una nuova identità. Desacralizzati dalla loro dimensione interiore, si svelano all’esterno sotto nuova forma, non privi del loro fascino intrinseco, ma non privando più l’occhio inconscio del suo libero arbitrio.
Ciò che è svelato, è capito, assimilato, elaborato e tirato finalmente fuori dal quel buio che a volte è così falsamente rassicurante da non riuscire a trovare lo slancio per uscirne.
Questo il lavoro dell’artista: recuperare ciò che inizialmente è stato negato perché celato o semplicemente omesso. Il risultato è quello di una giovialità soffocata, ma che finalmente trova modo di respirare attraverso il recupero cosciente della memoria. Il recupero emotivo è traslato nelle opere floreali di Micaela Legnaioli in totale coerenza con il suo processo creativo, nel quale non soltanto si recuperano i ricordi, complici e sinergici alla realizzazione delle opere, ma anche il materiale con cui esse sono realizzate.
La resina, lo stucco, il metallo, i differenti tessuti, la carta, la plastica sono coscientemente assimilati ed in seguito organizzati in maniera estetica, dando vita alle opere che ne esprimono un nuovo significato. Si può dare (nuova) vita a ciò che apparentemente sembra non averne più. Ed ecco svelarsi i fiori dell’artista intesi come una sorta di “fleurs du mal”, finalmente sbocciati, visibili, dunque non più pericolosi perché latenti…non più nemici.
Nell’opera “Ennemi”, è percettibile l’elemento grafico dei versi dell’omonima poesia di Baudelaire che dà il titolo all’opera tratta dalla sua raccolta lirica “les fleurs du mal”, il cui testo, non solo è in perfetta sintonia con il “lato oscuro” dell’artista, ma gioca ed ironizza con l’opera stessa realizzata con pacchetti vuoti di sigarette. Gli involucri del male sono recuperati, accartocciati e disposti in maniera da formare dei fiori che visti nell’insieme dell’opera, esprimono quel senso di enfatizzazione ed ironia tale da esorcizzare e sconfiggere il “maligno significato” dell’opera, attraverso l’opera stessa.
L’elemento grafico ricorre spesso nelle opere di Micaela: frasi di canzoni e poesie prese in prestito per un instante, per sempre o semplicemente per il tempo necessario alla creazione dell’opera. Come nel caso di “No love”, dove la delicatezza dei fiori di loto viene rappresentata in tutta la sua fragilità, come in un amore negato appunto, e ulteriormente sottolineata da frasi latenti, perché appena percettibili. Ciò che ne scaturisce e una sorta di dipendenza dalla vita, forte, fragile, violenta e dolce come la vita stessa.
In altre opere vi è invece una forte consapevolezza espressa con colore è con ironia, come ad esempio in “Prato”, dove l’assemblaggio di accendini usati simula l’erba e i fiori di un mondo inquinato, ma che ha voglia e “necessità” di vivere.
In tutte le opere coesistono sensazioni primordiali, selvagge ma espresse con delicatezza.
Isabella Vitale